l'Astrofilo febbraio 2012

STRUMENTI ASTROFILO l’ nel mio laboratorio di Campobasso, ho fotografato tutte le parti della montatura; quindi l’ho smontata completamente pezzo per pezzo in modo da studiarne bene tutti i com- ponenti. La montatura era costituita essenzialmente di due assi in acciaio C40 (da 30 mm di diametro l’asse di declinazione e da 40 mm di diame- tro l’asse orario), una fusione di allu- minio con gli alloggiamenti per i due cuscinetti dell’asse di declina- zione, una seconda fusione con le sedi dei due cuscinetti dell’asse ora- rio, una terza fusione che univa l’asse orario alla base della monta- tura, consentendone la messa in po- stazione (con semplice dispositivo a vite in ottone per la regolazione fine in altezza), una quarta fusione che rappresentava il “trait d’union” con la colonna, alta circa un metro, con sezione di 170 mm, e infine tre razze in fusione di alluminio, dotate ciascuna di una vite in acciaio C40, con manopola zigrinata in alluminio e base di appoggio “orientabile” grazie a una sfera di acciaio inserita al suo interno; ciascuna razza era dotata della sede per l’inserimento di una ruota piroettante. Il sistema di inseguimento in A.R. era costituito da una corona den- fusi a quei tempi, come ad esempio il classico riflettorino 114/900 e si- mili. Con montature come le Astro Italia era già possibile iniziare a ci- mentarsi con la fotografia a lunga posa, che ai tempi veniva effettuata con pellicole ipersensibilizzate e (so- vente) inseguimento manuale con l’occhio al telescopio di guida. La montatura oggetto di questo re- stauro era depositata in un capan- none agricolo presso Latina; le parti in acciaio erano completamente os- sidate, la colonna in ferro e le fu- sioni in alluminio erano state probabilmente riverniciate alla buona anni prima con un prodotto inadeguato, e il tutto aveva un aspetto decisamente poco invitante. In complesso però, a parte l’assenza del nonio del cerchio di declina- zione, la montatura era completa di tutte le sue componenti. Il prece- dente proprietario aveva rimosso gli anelli per l’attacco del tubo del tele- scopio e aveva installato un sup- porto artigianale per barra a coda di rondine tipo Losmandy; inoltre la fi- lettatura del contrappeso era stata eliminata e vi era stata inserita una manopola per bloccarlo. Peso com- plessivo della montatura circa 60 kg. Per prima cosa, dopo averla portata S i può far rinascere da un muc- chio di rottami una gloriosa montatura di 30 anni fa? Sì, si può. Vi racconto la mia esperienza. Circa due anni or sono, mentre cer- cavo tutt’altro sul web, mi sono im- battuto in una vecchia montatura equatoriale Astro Italia in vendita. Sono affettivamente legato a que- sto tipo di strumenti in quanto mi ri- cordano i tempi del mio ingresso nel mondo astronomico (primi anni '80), nonché un telescopio che al- l'epoca misi insieme e che installai proprio sopra una di quelle montature. Per questi motivi ho deciso di acquistarla e di intrapren- derne il restauro. Può essere utile per i let- tori più giovani sapere che le montature Astro Italia erano prodotte da una ditta romana in tre diversi modelli: la “Standard T”, di tipo “tedesco” o “a sbalzo”, dotata di corona dentata e vite senza fine sull’asse orario e di brac- cetto tangente per i movimenti fini in declinazione; la “Professional T”, anch’essa alla tedesca, che aveva corona dentata e vite sia in A.R. sia in declinazione; infine un terzo modello a forcella. Tutte venivano fornite su treppiede o colonna con tre razze a 120° e viti calanti, ed eventualmente con variatore di fre- quenza e pulsantiera. Sicuramente molto poco portatili per il loro ingombro e per il loro peso, non particolarmente economi- che (io pagai la mia quasi 3 milioni di lire nel 1984), queste montature, così come quelle prodotte nello stesso periodo da altri noti artigiani (Urania, Spada, Marcon etc.) erano considerate montature “serie”, al- meno rispetto a quelle decisamente più esili di cui erano dotati gli stru- menti amatoriali maggiormente dif- I l blocco asse A.R. / asse declinazione dopo il restauro.

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