l'Astrofilo dicembre 2011

COSMOLOGIA ASTROFILO l’ scere della distanza. Se possiamo misurare l’in- tensità di quella luce, sapendo che è una lam- padina da 60 Watt pos- siamo calcolare quanto è lontana, e ciò fino a quando riusciamo a ve- derla. Se il nostro tele- scopio è abbastanza po- tente da rilevare la sua luce sulla Luna, allora possiamo misurare la di- stanza della Luna. Anche per le sorgenti astronomiche possiamo sempre misurare la lu- minosità apparente, il problema è conoscere la luminosità intrinse- ca: è di 60 Watt o di 60 gigawatt? Un oggetto celeste può quindi es- sere usato come indica- tore di distanza se abbiamo un metodo per misurare la sua luminosità intrinseca. I più celebrati di tutti gli indicatori di distanza sono le variabili Cefeidi. Queste stelle, molto massicce e luminose, mostrano una relazione ben definita fra la loro luminosità intrinseca e il loro periodo di variazione: quelle che va- riano più lentamente sono più luminose. Quindi, se una variabile Cefeide viene osser- vata in una galassia diversa dalla nostra per un periodo di tempo sufficiente a determi- nare la sua curva di luce, allora è possibile de- rivare la sua luminosità intrinseca. Non rimane poi che misurare la luminosità apparente (la magnitudine) per trovare la di- stanza della Cefeide e quindi della galassia che la ospita. È così che Edwin Hubble per primo misurò la distanza della galassia di An- dromeda (M31). Sebbene le stime della di- stanza delle Cefeidi si siano estese oggi fino a raggiungere galassie come M100 nell’am- masso della Vergine, lontana circa 60 milioni di anni luce, questo è ancora troppo poco per i cosmologi. Distanze maggiori richiedono oggetti molto più brillanti delle Cefeidi. Fino a ieri, gli oggetti più brillanti che po- tevano essere usati per stimare le distanze erano le supernovae di tipo Ia . Si ritiene in- fatti che il picco di luminosità di quelle esplo- sioni abbia sempre lo stesso intrinseco, asso- luto valore. Poiché le supernovae possono essere osservate anche in galassie molto lon- tane, sono state usate per estendere il range delle distanze stimate su scale di rilevanza co- smologica. La scoperta dell’espansione acce- lerata dell’universo è avvenuta grazie alle supernovae di tipo Ia . Ora però, astronomi del Niels Bohr Institute hanno dimostrato che anche i quasar possono essere usati come indicatori di distanza. Que- sti sono fra gli oggetti più luminosi dell’uni- verso (circa 100 volte più brillanti di una su- pernova di tipo Ia ) e pertanto possono essere osservati a distanze enormi, offrendo l’occa- sione di usarli per misurare la geometria dell’universo su larga scala. Ma come possiamo trovare la luminosità in- trinseca di un quasar e usarla come metro co- smico? La risposta è in una tecnica chiamata “reverberation mapping” e per capire come funziona dobbiamo prima capire come fun- zionano i quasar. Un quasar non è altro che una galassia con un buco nero supermassiccio al suo centro. La tremenda emissione luminosa di un qua- sar è originata dall’elevato quantitativo di U na serie di quasar foto- grafati dal tele- scopio spaziale Hubble. Una delle cause dell’attiva- zione di un qua- sar può essere la collisione fra due galassie. In quel caso possono ve- nire “accesi” i nu- clei di entrambe le galassie. [NASA]

RkJQdWJsaXNoZXIy MjYyMDU=